mercoledì 31 agosto 2011

IL MANIFESTO DEL DISTRUZIONISMO

VERDE funziona perché genera confusione e dalla confusione scaturisce ambiguità. VERDE è una fanzine? È un mensile letterario? È splatterpunk? È torbida? È neo-noir? È anni Novanta? È anni Ottanta? è 1977? VERDE è VOMITO elettrocartaceo e chi ci ha letto almeno una volta lo sa: siamo un'appendice occulta del complotto globale paradistruzionista e non facciamo nulla per tenerlo nascosto. 
MA ESISTE DAVVERO IL DISTRUZIONISMO? Fino ad ora ci siamo limitati a descriverlo attraverso poche stringate parole: 

Nata a Brentwood il 3 febbraio 1971, S.H. Palmer è la più giovane e significativa esponente dei DISTRUZIONISTI, oscura avanguardia romana di fine anni'80, nata in seno agli ambienti di estrema destra della capitale, dove Palmer si era trasferita nel 1985. Poetessa, narratrice, autrice di numerosi testi teatrali e di romanzi dai temi controversi (su tutti APOCALYPTICAL MARSHMELLOW CRUNCHERS, la sua opera maggiore), dopo aver a lungo lottato contro una insidiosa depressione post-disintossicazione, muore a San Severo il 27 dicembre del 2004, a soli 33 anni. 

che puntualmente sono state messe in discussione, anche recentemente, da negazionisti incalliti che non credono al potere di parole appena accennate. Per questo motivo, oggi 31 AGOSTO 2012, in anticipo sui tempi, diffondiamo per la prima volta IL MANIFESTO DEL DISTRUZIONISMO, così come ci è stato segretamente tramandato da chi, con coraggio e ardore, quasi trenta ani fa, decide di estenderlo detournando liberamente una sintesi personale del propri fantasmi del passato, perché nulla venisse dimenticato o lasciato al caso.

COSì è DECISO.


BASE DISTRUZIONISTA #001, 2 agosto 1983 


Credendo nell’espressione umana, unico elemento di distinzione tra dannazione e santità; 


Credendo nella furia e nell’ira, come fondamentali reazioni dell’uomo verso l’esistenza, attraverso le quali esso percepisce davvero di essere vero, e davvero è, dimostrando il suo esistere ed essere presente nell’Universo ad ogni effetto e livello; 


Noi procediamo alla scrittura del Manifesto del Distruzionismo, legittimazione giustificante l’istinto furioso dell’umanità, trasposto in una qualsiasi forma artistica visiva. 

Non Sonora. 

 Mai il Distruzionismo sarà un’arte musicale; se non in quei casi particolari, nei quali la musica distruzionsta dovrà necessariamente legarsi ad un’altra forma d’arte per ottenere un senso, restando sempre inscindibile da essa e dipendendovi totalmente. 

 L’opera d’arte (anche se il termine stesso, che siamo costretti ad usare solo per una questione di comprensione generale, ci è ostile e odiato) può (e mai a questo può si sostituirà un deve) essere definita distruzionista, quando la sua esecuzione si sviluppi in uno stato di rabbia assoluta, in cui il soggetto agente (artista) perda gran parte, se non la totalità delle sue facoltà razionali e intelligenti. La creazione dell’opera dovrebbe avvenire in uno stato di estraniazione rispetto alla natura circostante, con una mente posseduta dalla furia e dal bisogno di ira, intesi come uno dei portanti tra i pilastri del Mistero dell’Uomo. 

 Questa Follia Distruttiva deve essere sfogata in un risultato concreto, che trascenda la volgarità di qualsivoglia violenza fisica sui nostri simili e nostri diversi. Solo concretizzandola in tal modo acquisterà la potenza di una nuova forma di Espressione Umana. 

 Arte? Non ci interessa affatto. E non possiamo fare altro che mandare all’inferno chi ci compatirà per questo disinteresse:

Andate all’Inferno, bastardi! 

 Come può essere costruito un “oggetto-arte” distruzionista, se per comporlo è d’obbligo annientare la razionalità che caratterizza la specie umana? 

 Molto semplice. 
Una assoluta e onniregnante razionalità deve caratterizzare la fase precedente la creazione manuale dell’opera, infatti gli strumenti di cui farà uso l’agente saranno scelti solo prima dell’azione, e questa scelta verrà considerata una limitazione intelligente, di cui il soggetto farà uso irrazionale nella foga della distruzione. 

 Dovete privarvi di Strumenti, ridurre le possibilità che potreste volere utilizzare. Scegliete di non usare certe tecniche, certi colori, certi effetti… 

 La razionalità è effettivamente una limitazione alla pazzia. Ma è evidentemente obbligatoria se si vuole dare un significato non inconscio e leggibile (razionale quindi) all’opera. 
La vostra follia rimarrà inalterata pur con i limiti delle vostre scelte. Non è un paradosso. 

 La fase che individuiamo con la scelta degli strumenti è ovviamente precedente la realizzazione dell’oggetto distruzionista, ed è attraverso la limitazione a cui questo studio profondo, questa scelta costringe l’azione, che nasce la nostra realizzazione. 

 Arte? Ma chi se ne frega… 

 L’idea distruzionista non è stata concepita per generare violenza fisica, ma solo per valorizzare un carattere puramente determinante nella nostra specie: la rabbia, l’ira, l’insofferenza contro questa società di cemento e normalità e leggi. Un’insofferenza che urli. 
E che l’espressione concreta sia data dal tono dell’urlo, non da ciò che esso effettivamente dica. 

 Chiunque porti questo Manifesto a giustificazione della propria violenza, (eccetto quella che non nuoccia ad alcun essere vivente, e che dovrebbe cioè caratterizzare il Distruzionismo), non è altro che un infame, un traditore , un vigliacco represso che ha frainteso del tutto il significato di questo documento. 

 I Distruzonisti credono nella libertà dell’uomo, continuano senza sosta a credere in esso, e sempre continueranno. 
La Loro Ira, la Nostra Ira, è l’espressione di tale amore oggi, quando sembra che ogni speranza debba essere spenta dal cieco urlo dei cannoni, dal vocio della televisione, dalle risate dell’ipocrisia, dalle false esultanze dell’arrivismo e della bella apparenza, dal rispetto verso i valori classici, verso i vergognosi e controproducenti miti della Patria e dell’Eroe, dalle sporche promesse di Fedi costruite su secoli di paure, abitudini e vere follie. La nostra Rabbia è la più bella poesia, perché rimane un grido di interesse e fiducia, in un mondo che sta ormai apertamente dalla parte dei menefreghisti, e premia la gente in base all’egoismo. 

 La nostra Rabbia è quella contro un sistema preconfezionato che mira all’uniformare un’umanità la cui principale bellezza sta nella diversità e nell’incontro, e che propugna valori e dottrine basandosi su un concetto di normalità inesistente. 

 È GIUNTA L'ORA IN CUI ANCHE L'IRA SIA LEGALIZZATA.

 Vi stringiamo forte la mano nella speranza della vostra eterna comprensione. 

 FIRMATO: Qualcuno

lunedì 8 agosto 2011

Apocalyptical Marshmellow Crunchers, o una diapositiva concettuale semplice e inquietante

Da tre mesi esatti Apocalyptical Marshmellow Crunchers, l'opera prima di S.H. Palmer, è finalmente disponibile in e-book. Il romanzo, pubblicato a puntate e in una versione differente sui primi sei numeri della nostra rivista, rivive ora su Amazon grazie all'interessamento della casa editrice Il Menocchio; una collaborazione non occasionale che si è concretizzata con la pubblicazione del secondo e fin'ora inedito romanzo di S.H. Palmer: Infiltrazione.

L’ultima guerra contro il nulla ha distrutto il mondo, i desideri e la memoria di ogni cosa: gli unici sopravvissuti sono i Randagi del Macello, bambini mangiatori di libri antichi, detentori della saggezza storica, predestinati alla rieducazione futura del popolo, e un gruppo di masticatori di tabacco inumidito di benzina, che coadiuvano la realizzazione del progetto: la ricostruzione del passato dimenticato, una grande opera di recupero della memoria della civiltà (o della barbarie) perduta.

In 500 battute, ecco il succo di Apocalyptical Marshmellow Crunchers, l’opera prima di S.H. Palmer, che tante ombre e mistero ha saputo catalizzare su di sé, fino alla recente e mirabile decisione di uscire allo scoperto, grazie all’edizione in e-book di quello che la stessa autrice ha definito un vecchio racconto nel cassetto, ma che in realtà si presta adeguatamente a diapositiva concettuale della scrittura e del vissuto oscuro di Palmer.

Chi ha avuto la fortuna di assistere alla nascita e alla gestazione di AMC, sa che, sin dai primi vagiti – le guerre, quelle vere, avevano appena ricominciato a decostruire, maltrattare e togliere senso al tempo – le vicende dei masticatori di tabacco sono da subito apparse come il tentativo di affrescare un quadro distorto e grottesco – una prospettiva straniata quanto realistica di una realtà troppo surreale perché possa continuare a mantenere questo nome – di una generazione reale – quella dell’autrice – che alla fine degli anni Novanta e allo scoccare del decennio dei due zeri si è ritrovata ancora una volta – ma è sempre la prima, quando ci sei dentro – senza punti di riferimento, a contemplare la propria solitudine e quell’individualismo escapista elevato da secoli a roccaforte sicura e inespugnabile.

Ma vincere è inutile, si sa, e quando il mondo comincia a crollare, perché cadono le certezze e ciclicamente le generazioni vengono assorbite dalla spugna del Sistema, succede che una nuova classe, invece di farsi avanti, decide di asseragliarsi nella propria diversità, rinunciando a tutto, nomi di battesimo compresi, sostituti da iniziali oscure, le Lettere che alla fine, metaforicamente, offriranno la catarsi della scrittura, di fronte a un’alba non più tragica ma leightiana – come Vivien, l’eroina del Vento.

Le sperimentazioni linguistiche, le commistioni di registri narrativi affastellati fino al tracollo, l’incertezza spazio-temporale del racconto e un micidiale filtro sarcastico a bilanciare il rancido scenario post-atomico (ma pre-apocalittico, il peggio ritarda cronicamente), non sono altro che componenti accessorie che inscrivono di diritto Apocalyptical Marshmellow Crunchers allo stuolo di quella scrittura post-moderna che si rinnova nel suo esercizio e attinge alle fonti più disparate (Proust, Goethe, Nick Cave, Via col Vento), per poi incantare nella sua apparente semplicità e nel suo fascino inebriante e inquieto.

Una seduzione nell'ombra: lasciatevi infettare.

(Pierluca D'Antuono)