venerdì 16 dicembre 2011

LA CRITICA è IMPURA


Puntate l'occhio /quello che vi resta dopo la lettura di VAN GOGH  di Sonia Caporossi in VERDE 7),   CRITICA IMPURA
Critica Impura è un blog di (co)scienze umane geneticamente non modificato, un’indagine critica dell’universo culturale nella sua complessità, un’analisi, scevra da condizionamenti, delle molteplici manifestazioni espressive dell’uomo come soggetto creante e pensante, inquadrato nel suo divenire storico e nelle sue strutture epistemiche, ermeneutiche ed estetiche di base.
Arte, letteratura, poesia, filosofia, cinema, storia e società: una critica globale. Un percorso politematico che fa della categoria dell’impurezza il trait d’union di un itinerario critico costantemente in fieri.

mercoledì 14 settembre 2011

VERDE AL FLEP!


Dal 12 al 16 settembre 2012, il Parco Meda a Roma (Via Filippo Meda, Monti Tiburtini) ospita il FLEP!, Festival delle letterature popolari,  ideato e promosso dagli autori di TerraNullius NarrazioniPopolari e dall’associazione Ontheroad con il patrocinio del V municipio di Roma.
Cinque giorni di importanti eventi letterari, una "fiera editoriale all'aperto concepita più come un bazar dove incontrare i libri e i loro autori, una postazione dove conoscere le nuove tecnologie 
applicate all'editoria e un palco letterario dove i libri sono presentati attraverso letture, musica ed immagini proiettate su maxi schermo."
Oltre agli stand di case editrici, il FLEP! si caratterizza per la presenza numerosa di blog e riviste letterarie indipendenti. Ci sarà anche VERDE, che per l'occasione presenterà al pubblico la versione cartacea del numero 4 di settembre appena uscito.
Di seguito, un ottimo articolo sulla realtà delle riviste letterarie e alcune domande sull'argomento che Sergio Calderale per il TROPICO DEL LIBRO ha posto a SCRITTORI PRECARI, UNONOVE, ANTIFA!nzine, PROSPEKTIVA, FRIGIDAIRE e IL NUOVO MALE, FLANERì, CADILLAC e VERDE.

venerdì 2 settembre 2011

ORA TOCCA AI LIBRETTI VERDI!

La nostra nuova iniziativa, un tentativo di andare oltre – e subito – il meccanismo, in parte limitativo, delle uscite mensili “regolari”e di prevedere una struttura più mobile e partecipativa di pubblicazione, legata al web e ai nuovi sviluppi dell’editoria digitale. Periodicamente pubblicheremo on-line (sulla nostra libreria di Issuu) e per e-book numeri speciali, antologie di racconti, romanzi inediti, traduzioni di vecchi culti dimenticati e altro ancora. Le prime tre uscite riguarderanno il nostro passato, le basi nate fuori e prima della nostra rivista ma che ancora la fondano: le prime STORIE NERE di Luca Carelli, le prime 6 BLITZRECENZION e i primi tre capitoli di APOCALYPTICAL MARSHMALLOW CRUNCHERS di S.H. Palmer, già pubblicati su una rivista che oggi non esiste più: è una operazione necessaria chiudere definitivamente con ciò che è stato. È un programma impegnativo destinato a crescere col tempo. Noi ci proviamo, voi ci leggete. Va bene?

LIBRETTI VERDI #001: STORIE NERE (LUCA CARELLI)

LIBRETTI VERDI #002: BLITZRECENZION (S.H. PALMER)

LIBRETTI VERDI #003: APOCALYPTICAL MARSHMALLOW CRUNCHERS (S.H. PALMER)



mercoledì 31 agosto 2011

IL MANIFESTO DEL DISTRUZIONISMO

VERDE funziona perché genera confusione e dalla confusione scaturisce ambiguità. VERDE è una fanzine? È un mensile letterario? È splatterpunk? È torbida? È neo-noir? È anni Novanta? È anni Ottanta? è 1977? VERDE è VOMITO elettrocartaceo e chi ci ha letto almeno una volta lo sa: siamo un'appendice occulta del complotto globale paradistruzionista e non facciamo nulla per tenerlo nascosto. 
MA ESISTE DAVVERO IL DISTRUZIONISMO? Fino ad ora ci siamo limitati a descriverlo attraverso poche stringate parole: 

Nata a Brentwood il 3 febbraio 1971, S.H. Palmer è la più giovane e significativa esponente dei DISTRUZIONISTI, oscura avanguardia romana di fine anni'80, nata in seno agli ambienti di estrema destra della capitale, dove Palmer si era trasferita nel 1985. Poetessa, narratrice, autrice di numerosi testi teatrali e di romanzi dai temi controversi (su tutti APOCALYPTICAL MARSHMELLOW CRUNCHERS, la sua opera maggiore), dopo aver a lungo lottato contro una insidiosa depressione post-disintossicazione, muore a San Severo il 27 dicembre del 2004, a soli 33 anni. 

che puntualmente sono state messe in discussione, anche recentemente, da negazionisti incalliti che non credono al potere di parole appena accennate. Per questo motivo, oggi 31 AGOSTO 2012, in anticipo sui tempi, diffondiamo per la prima volta IL MANIFESTO DEL DISTRUZIONISMO, così come ci è stato segretamente tramandato da chi, con coraggio e ardore, quasi trenta ani fa, decide di estenderlo detournando liberamente una sintesi personale del propri fantasmi del passato, perché nulla venisse dimenticato o lasciato al caso.

COSì è DECISO.


BASE DISTRUZIONISTA #001, 2 agosto 1983 


Credendo nell’espressione umana, unico elemento di distinzione tra dannazione e santità; 


Credendo nella furia e nell’ira, come fondamentali reazioni dell’uomo verso l’esistenza, attraverso le quali esso percepisce davvero di essere vero, e davvero è, dimostrando il suo esistere ed essere presente nell’Universo ad ogni effetto e livello; 


Noi procediamo alla scrittura del Manifesto del Distruzionismo, legittimazione giustificante l’istinto furioso dell’umanità, trasposto in una qualsiasi forma artistica visiva. 

Non Sonora. 

 Mai il Distruzionismo sarà un’arte musicale; se non in quei casi particolari, nei quali la musica distruzionsta dovrà necessariamente legarsi ad un’altra forma d’arte per ottenere un senso, restando sempre inscindibile da essa e dipendendovi totalmente. 

 L’opera d’arte (anche se il termine stesso, che siamo costretti ad usare solo per una questione di comprensione generale, ci è ostile e odiato) può (e mai a questo può si sostituirà un deve) essere definita distruzionista, quando la sua esecuzione si sviluppi in uno stato di rabbia assoluta, in cui il soggetto agente (artista) perda gran parte, se non la totalità delle sue facoltà razionali e intelligenti. La creazione dell’opera dovrebbe avvenire in uno stato di estraniazione rispetto alla natura circostante, con una mente posseduta dalla furia e dal bisogno di ira, intesi come uno dei portanti tra i pilastri del Mistero dell’Uomo. 

 Questa Follia Distruttiva deve essere sfogata in un risultato concreto, che trascenda la volgarità di qualsivoglia violenza fisica sui nostri simili e nostri diversi. Solo concretizzandola in tal modo acquisterà la potenza di una nuova forma di Espressione Umana. 

 Arte? Non ci interessa affatto. E non possiamo fare altro che mandare all’inferno chi ci compatirà per questo disinteresse:

Andate all’Inferno, bastardi! 

 Come può essere costruito un “oggetto-arte” distruzionista, se per comporlo è d’obbligo annientare la razionalità che caratterizza la specie umana? 

 Molto semplice. 
Una assoluta e onniregnante razionalità deve caratterizzare la fase precedente la creazione manuale dell’opera, infatti gli strumenti di cui farà uso l’agente saranno scelti solo prima dell’azione, e questa scelta verrà considerata una limitazione intelligente, di cui il soggetto farà uso irrazionale nella foga della distruzione. 

 Dovete privarvi di Strumenti, ridurre le possibilità che potreste volere utilizzare. Scegliete di non usare certe tecniche, certi colori, certi effetti… 

 La razionalità è effettivamente una limitazione alla pazzia. Ma è evidentemente obbligatoria se si vuole dare un significato non inconscio e leggibile (razionale quindi) all’opera. 
La vostra follia rimarrà inalterata pur con i limiti delle vostre scelte. Non è un paradosso. 

 La fase che individuiamo con la scelta degli strumenti è ovviamente precedente la realizzazione dell’oggetto distruzionista, ed è attraverso la limitazione a cui questo studio profondo, questa scelta costringe l’azione, che nasce la nostra realizzazione. 

 Arte? Ma chi se ne frega… 

 L’idea distruzionista non è stata concepita per generare violenza fisica, ma solo per valorizzare un carattere puramente determinante nella nostra specie: la rabbia, l’ira, l’insofferenza contro questa società di cemento e normalità e leggi. Un’insofferenza che urli. 
E che l’espressione concreta sia data dal tono dell’urlo, non da ciò che esso effettivamente dica. 

 Chiunque porti questo Manifesto a giustificazione della propria violenza, (eccetto quella che non nuoccia ad alcun essere vivente, e che dovrebbe cioè caratterizzare il Distruzionismo), non è altro che un infame, un traditore , un vigliacco represso che ha frainteso del tutto il significato di questo documento. 

 I Distruzonisti credono nella libertà dell’uomo, continuano senza sosta a credere in esso, e sempre continueranno. 
La Loro Ira, la Nostra Ira, è l’espressione di tale amore oggi, quando sembra che ogni speranza debba essere spenta dal cieco urlo dei cannoni, dal vocio della televisione, dalle risate dell’ipocrisia, dalle false esultanze dell’arrivismo e della bella apparenza, dal rispetto verso i valori classici, verso i vergognosi e controproducenti miti della Patria e dell’Eroe, dalle sporche promesse di Fedi costruite su secoli di paure, abitudini e vere follie. La nostra Rabbia è la più bella poesia, perché rimane un grido di interesse e fiducia, in un mondo che sta ormai apertamente dalla parte dei menefreghisti, e premia la gente in base all’egoismo. 

 La nostra Rabbia è quella contro un sistema preconfezionato che mira all’uniformare un’umanità la cui principale bellezza sta nella diversità e nell’incontro, e che propugna valori e dottrine basandosi su un concetto di normalità inesistente. 

 È GIUNTA L'ORA IN CUI ANCHE L'IRA SIA LEGALIZZATA.

 Vi stringiamo forte la mano nella speranza della vostra eterna comprensione. 

 FIRMATO: Qualcuno

lunedì 8 agosto 2011

Apocalyptical Marshmellow Crunchers, o una diapositiva concettuale semplice e inquietante

Da tre mesi esatti Apocalyptical Marshmellow Crunchers, l'opera prima di S.H. Palmer, è finalmente disponibile in e-book. Il romanzo, pubblicato a puntate e in una versione differente sui primi sei numeri della nostra rivista, rivive ora su Amazon grazie all'interessamento della casa editrice Il Menocchio; una collaborazione non occasionale che si è concretizzata con la pubblicazione del secondo e fin'ora inedito romanzo di S.H. Palmer: Infiltrazione.

L’ultima guerra contro il nulla ha distrutto il mondo, i desideri e la memoria di ogni cosa: gli unici sopravvissuti sono i Randagi del Macello, bambini mangiatori di libri antichi, detentori della saggezza storica, predestinati alla rieducazione futura del popolo, e un gruppo di masticatori di tabacco inumidito di benzina, che coadiuvano la realizzazione del progetto: la ricostruzione del passato dimenticato, una grande opera di recupero della memoria della civiltà (o della barbarie) perduta.

In 500 battute, ecco il succo di Apocalyptical Marshmellow Crunchers, l’opera prima di S.H. Palmer, che tante ombre e mistero ha saputo catalizzare su di sé, fino alla recente e mirabile decisione di uscire allo scoperto, grazie all’edizione in e-book di quello che la stessa autrice ha definito un vecchio racconto nel cassetto, ma che in realtà si presta adeguatamente a diapositiva concettuale della scrittura e del vissuto oscuro di Palmer.

Chi ha avuto la fortuna di assistere alla nascita e alla gestazione di AMC, sa che, sin dai primi vagiti – le guerre, quelle vere, avevano appena ricominciato a decostruire, maltrattare e togliere senso al tempo – le vicende dei masticatori di tabacco sono da subito apparse come il tentativo di affrescare un quadro distorto e grottesco – una prospettiva straniata quanto realistica di una realtà troppo surreale perché possa continuare a mantenere questo nome – di una generazione reale – quella dell’autrice – che alla fine degli anni Novanta e allo scoccare del decennio dei due zeri si è ritrovata ancora una volta – ma è sempre la prima, quando ci sei dentro – senza punti di riferimento, a contemplare la propria solitudine e quell’individualismo escapista elevato da secoli a roccaforte sicura e inespugnabile.

Ma vincere è inutile, si sa, e quando il mondo comincia a crollare, perché cadono le certezze e ciclicamente le generazioni vengono assorbite dalla spugna del Sistema, succede che una nuova classe, invece di farsi avanti, decide di asseragliarsi nella propria diversità, rinunciando a tutto, nomi di battesimo compresi, sostituti da iniziali oscure, le Lettere che alla fine, metaforicamente, offriranno la catarsi della scrittura, di fronte a un’alba non più tragica ma leightiana – come Vivien, l’eroina del Vento.

Le sperimentazioni linguistiche, le commistioni di registri narrativi affastellati fino al tracollo, l’incertezza spazio-temporale del racconto e un micidiale filtro sarcastico a bilanciare il rancido scenario post-atomico (ma pre-apocalittico, il peggio ritarda cronicamente), non sono altro che componenti accessorie che inscrivono di diritto Apocalyptical Marshmellow Crunchers allo stuolo di quella scrittura post-moderna che si rinnova nel suo esercizio e attinge alle fonti più disparate (Proust, Goethe, Nick Cave, Via col Vento), per poi incantare nella sua apparente semplicità e nel suo fascino inebriante e inquieto.

Una seduzione nell'ombra: lasciatevi infettare.

(Pierluca D'Antuono)

venerdì 29 luglio 2011

Se sarà luce sara bellissimo - Aurelio Grimaldi

Nel 2008, in occasione del trentesimo anniversario del rapimento di Aldo Moro, veniva finalmente distribuito (solo in dvd) Se sarà luce sarà bellissimo – Moro: un’altra storia, opera con la quale il regista Aurelio Grimaldi tenta di realizzare una radiografia dell’Italia e della lotta armata oltre l’omicidio del presidente della Democrazia Cristiana, inserendo «un po’ tutto, forse troppo» attraverso un punto di vista «politicamente scorretto». Grimaldi comincia a lavorare all'opera all'inizio degli anni zero, e nel 2004 ha tra le mani la prima mastodontica versione: tre lungometraggi per una serie intitolata informalmente Trilogia Aldo Moro. Il trittico, però, non troverà distribuzione per mancanza di fondi a causa del fallimento della produzione. Il regista dovrà così aspettare quattro anni per decidere di rimontare sinteticamente il materiale già girato, riducendo i tre episodi a un unico film che esce nel 2008 con il titolo diSe sarà luce sarà bellissimo. Ottanta minuti che tentano, a posteriori, di restituire un ritratto politico veritiero dell’Aldo Moro durante la prigionia, senza concessioni al mito, alla agiografia, alla psicoanalisi. 

1. LA TRILOGIA MORO 
Della cosiddetta Trilogia Moro si comincia a parlare pubblicamente nel 2004, quando Miriam Tola la definisce una «radiografia dell’Italia della lotta armata». All’epoca l’opera, incompleta, non può essere distribuita in sala per problemi economici legati alla produzione, eppure da subito ne viene riconosciuta l’importanza cruciale all’interno del corpus filmico dei cosiddetti “schermi di piombo”: nel 2007 Christian Uva la definisce «una sofferta e impegnativa opera», «il contributo più politicamente scorretto» sulla vicenda Moro, giudizio analogo a quello di Alan O’Leary dell’anno dopo. Nel bel documentario di Federico Greco e Mazzino Montinari (Fuori Fuoco – Cinema, Ribelli e Rivoluzionari, 2004), racconti la genesi del trittico, che scopriamo essere un tuo antico progetto, a cui pensi da sempre, addirittura dagli anni Ottanta, se non dall’indomani del rapimento Moro. Quali sono state le tappe che dal marzo del 1978 ti hanno condotto a realizzare questo trittico?

Nel 1978 ero uno studente universitario al primo anno di Lettere. Nella mia famiglia non si compravano quotidiani ma solo il settimanale «Tempo». Io compravo qualche volta, molto raramente, il «Corriere della Sera», ed avevo votato, nel 1976 (per la mia prima volta) per il Partito Repubblicano di Ugo La Malfa, che ammiravo molto per il suo liberalismo razionalistico-illuminista. Ma non ero molto impegnato politicamente. Ciò che ricordo con totale precisione è che in quei giorni provai da subito una sorta di fastidio profondo verso i telegiornali rai di quel tempo che trattavano il rapimento-Moro con dei toni che mi sembravano fastidiosamente retorici, creando un clima di psicodramma nazionale che francamente mi lasciava sgradevolmente perplesso. Nell’accesa disputa di quei giorni, ricordo che anch’io facevo parte del partito della “non-trattativa” con le BR, e che reagivo con fastidio alle lettere strappa-lacrime di Moro, che pretendeva, in modi umanamente molto ricattatori (pensavo allora), di avere un trattamento di favore da parte dello Stato del quale lui, più che un servitore, era stato un proprietario: in qualità di cosiddetto “cavallo di razza” della DC. A quel tempo ero uno studentello che sognava di diventare scrittore e magari regista, ma ritenendo queste aspirazioni solo dei miserabili sogni. Col tempo, quando con un po’ di fortuna sono riuscito a pubblicare dei libri e addirittura fare dei film, l’idea di raccontare il caso-Moro divenne un chiodo fisso. Credo sia un’idea che ho SEMPRE portato con me, dal 1978 ad oggi. E questa idea per me non è ancora (follemente) finita. Con il ‘pazzo’ Leonardo Giuliano, produttore ed amico, ad un certo punto si crearono le condizioni per la possibile fattibilità del progetto. E mi misi a scrivere la sceneggiatura: era il 2002. Il mio metodo era il solito (io lo chiamo “alla Francesco Rosi”): documentazione storica rigorosissima, ma traduzione cinematografica “libera”: fare un film significa “ricostruire” e non “documentare”: lo storico fa un lavoro, e il cineasta un altro (che nemmeno “lavoro” lo potrei chiamare). Ma i materiali mi crescevano in mano di giorno in giorno. Dissi a Leonardo: «Sarebbe bello fare un dittico» e lui: «Proviamoci». Ma il materiale immenso non entrava nemmeno nel dittico. «Se riesci a ridurre i costi in riprese unificate e veloci, ci proviamo». E ci provammo. Il progetto risultò infine così diviso: 
1° parte: Prigionia di Moro. Il covo. La prigione del popolo. Con brevi inserti dell’esterno. 
2° parte: Tre anni dopo: carcerieri di Moro in carcere, con altri terroristi rossi. Alcuni dissociati, alcuni collaboratori di giustizia, altri irriducibili (eticamente, lo ammetto, i miei prediletti). Raccontando la loro esperienza carceraria (interrogatori, processi e torture inclusi), i loro confronti, i loro dubbi, le loro speranze e frustrazioni. 
3° parte: Di nuovo i giorni della prigionia di Moro, ma vista totalmente nell’esterno: una professoressa incarcerata e sospesa dall’insegnamento per aver dichiarato in un’assemblea scolastica: «Né con lo Stato né con le BR». Sindacalisti CGIL espulsi dal sindacato per aver preso le distanze da Luciano Lama e dal suo attacco violento alle BR. Un ragazzo dell’estrema sinistra arrestato come presunto membro del commando brigatista di via Fani: torturato. La famiglia Moro nella sua mesta quotidianità. 
Il tutto, con brevi inserimenti del carcere del popolo di Moro. 

2. SE SARÀ LUCE SARÀ BELLISSIMO 
Nel 2008, dopo quattro anni di oblio, viene finalmente distribuito (solo in dvd) Se sarà luce sarà bellissimo, lungometraggio di 76’ che, pur agendo in profondità sulla monumentale struttura originaria dell’opera, si pone come una sorta di compendio della trilogia. Come e perché arrivi a questo tipo di soluzione distributiva? Quale rapporto intercorre tra i tre episodi e il film del 2008? 

È stata un’idea dell’amico Michele Lo Foco. Il mio amico produttore Leonardo Giuliano era definitivamente scivolato nella crisi e nel fallimento delle sue aziende e non c’era alcuna possibilità di concludere il progetto con lui. Lo Foco, che lavora anche nella distribuzione homevideo, propose di riaprire il vecchio Avid coi montaggi incompiuti della Trilogia (avevamo girato l’80% di tutta la Trilogia, ma con buchi in ciascuno delle tre parti) e di fare un ri-montaggio dei materiali esistenti per avere intanto un film unitario da distribuire in homevideo. Ne è uscito un’unione della prima e terza parte: unificando dunque l’interno e l’esterno dei giorni della prigionia di Moro. Livello video e audio da Avid a bassa qualità! Ma meglio che niente, al momento! Questo nuovo montato corrisponde al 90% del mio progetto iniziale, accettando ormai il ragionevole compromesso di unificazione di 1° e 3° parte. Ma se avessi i mezzi, e ne basterebbero molto pochi, girerei quei 10 minuti che mancano al mio progetto compiuto, e ovviamente mixerei bene il sonoro, e il direttore della fotografia lavorerebbe sulla pellicola e non su una qualità Avid a bassa qualità: il livello fotografico sarebbe tutta un’altra cosa! 

3 SCHERMI DI PIOMBO E ANNI SETTANTA 
Il rapporto tra cinema italiano e il fenomeno della violenza politica in Italia è di lunga data, tanto che oggi la critica riconosce l’esistenza di una ipertrofica produzione cinematografica incentrata sulla lotta armata e sui terrorismi, al cui interno si distinguono naturalmente le opere sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, oramai un sotto-filone all’interno del genere. Ciò che spesso è mancato a questi lavori è un approccio di tipo politico che restituisse il senso più profondo (il cosiddetto «senso perduto») di quegli anni, altrimenti descritti in maniera semplicistica e riduttiva, come anni di delirio e follia, a causa della tendenza intimistica e dell’approccio circospetto del cinema colto italiano, sempre in bilico tra metafore familiari e psicoanalitiche lontane dalla realtà. Se sarà luce sarà bellissimo di conseguenza si impone per l’audacia e la radicalità con cui ricontestualizza, attraverso un approccio espressamente politico, gli anni Settanta italiani, recuperando alcune delle istanze ideologiche (e non solo) dell’epoca (come ad esempio la diffusissima posizione del «né con lo Stato, né con le Brigate Rosse») ormai dimenticate. In questo quadro è corretto dire che nel tuo film la drammatica vicenda Moro è solo il punto di partenza per una riflessione sulla complessità e sulla ricchezza della società di allora, attraverso ad esempio l’accostamento provocatorio tra la violenza dello Stato (che non condanna a morte i propri prigionieri ma li degrada irrimediabilmente) e violenza delle Brigate Rosse (che non torturano psicologicamente e fisicamente i propri prigionieri ma li condannano a morte)? 

Sì. Credo di essere uno spirito militante ma insieme razionalista. Credo ciecamente nello Stato di Diritto, sono stato insegnante per 12 anni, ho lavorato al carcere minorile di Palermo, alla rieducazione Minorile femminile, a corsi per adulti analfabeti, in istituzioni chiuse per ragazzi e ragazze. E sono stato felice di aver potuto rappresentare lo Stato di Diritto sul versante sociale. Il caso-Moro racchiude troppi elementi politici e ideali per non farmi sognare di raccontarlo anche da questo punto di vista. Trovo ripugnante che lo Stato, in qualunque circostanza, anche drammatica, possa derogare dalle proprie leggi civili ed etiche, per esempio torturando i criminali o trattandoli con disumanità. Trovo storicamente assurdo affermare che Aldo Moro fu un martire dello Stato di Diritto. In lingua italiana, il martire è colui che sfida la morte per un suo ideale, ben disposto a perderla. Aldo Moro, dimostrando inaspettatamente un’umanità fiacca ma immensa, ma anche un senso dello stato molto personalistico, fu in verità l’antitesi del martire. Trovo storicamente indegno dimenticare che Aldo Moro fu un “cavallo di razza” della DC, gestendo come capo del governo, ministro, segretario della DC, un potere illimitato, e gestendolo assai male, meritandosi il nomignolo di Dottor Divago. Ho molto rispetto, e una sorta di ammirazione etica molto viva, per chiunque sia disposto, per parodiare la canzone di De Andrè, «a morire per delle idee» anche quando, come nel caso delle BR, sono lontanissimo dalle idee per le quali erano disposti a morire. Dal punto di vista etico e civile, il coraggio ideale dei brigatisti era esponenzialmente maggiore di quello di Aldo Moro: e questo mi colpisce molto; e mi mette in qualche modo in difficoltà. Non ho simpatia intellettuale né per Moro (democristiano conservatore, mediocrissimo governante, molto impegnato a eternizzare il potere del suo partito) né per le BR, col loro progetto farneticante ma tragicamente sanguinario di rivoluzione pseudo-proletaria. Ma sono immensamente attratto dall’umanità di entrambi: di un Moro che di fronte al rischio di morire per lo Stato di Diritto si tira indietro spiegando, accoratamente, che ‘tiene famiglia’, scrivendo lettere così sofferte e vere da essere entrate a far parte, ormai, sia della storia nazionale che della letteratura italiana; e di brigatisti disposti a rinunciare alle loro famiglie, ai loro affetti, ai loro amori e sessualità, per non parlare della vita e della libertà, sognando di realizzare un mondo più giusto. Da tutto questo nasce il desiderio di mettere ordine a tanta umanità, cercando di unificare il dato storico-politico con quello emotivo, che riguarda i sentimenti, di questi inattesi duellanti. 

3. ALDO MORO 
Uno dei punti più controversi del tuo lavoro è naturalmente il ritratto di Aldo Moro. In passato hai dichiarato che il tuo intento era quello di creare una immagine contro-corrente del presidente della DC, ma di fatto mi sembra più corretto dire che ne ristabilisci l’originalità politica e umana demolendo l’insincera agiografia ufficiale degli ultimi 34 anni: prima del rapimento, è testimoniato, Moro è politicamente osteggiato tanto a destra quanto a sinistra (e nella DC) per le sue manovre oscure e spregiudicate (Sciascia ricorderà che in vita Moro non è mai stato considerato uno statista), per il suo linguaggio allusivo e poco chiaro (Pasolini parlerà di una lingua incomprensibile quanto un latino), e anche da un punto di vista personale la proverbiale bontà d’animo e la leggendaria umanità dell’uomo vengono all’epoca considerate come ambiguità e cinismo. È giusto dire che il “tuo” Aldo Moro a differenza degli altri non cede al ricatto della santificazione postuma e vive una vasta gamma di emozioni e stati d’animo assolutamente veritieri, assenti negli altri film (su tutti, il panico e il terrore della morte), che ne esaltano in maniera credibile la profonda ed effettiva umanità dell’uomo, mai slegata dal contesto drammatico in cui è costretto? 

Posso solo rispondere che spero vanitosamente di sì: che spero, come dici tu, che sia giusto dire che non è l’Aldo Moro “coccodrillescamente” santificato da destra e sinistra. Le santificazioni umiliano chi le fa ma, soprattutto, chi le riceve. Il Moro santificato è talmente finto da oscurare anche i lati positivi, che credo nel mio film non sono stati affatto elusi, della sua personalità storica e umana. 

4 LE BRIGATE ROSSE 
Nello stesso modo, ben lontano da intenti apologetici, non cedi alla tentazione di descrivere le Brigate Rosse come un sedicente gruppo di ambigui e folli assassini, ma ti concentri sul preminente aspetto politico-ideologico della loro (seppur violenta e sanguinaria) militanza, riconoscendone la legittima appartenenza all’interno della famiglia della sinistra italiana. Il film, mi sembra, tenta in questo senso di esplorare i motivi e le ragioni che muovono il gruppo armato: l’inaccettabile metodo armato della “giustizia proletaria” risponde a un merito ideale specifico e testimoniato, del tutto assente negli altri film sul caso e in seguito rimosso dalla storia (l’adolescenza nel GUF di Moro, le sue posizioni interventiste durante la seconda guerra mondiale, la morbidezza da ministro degli interni nei confronti delle dittature fasciste sudamericane, il caso Ziliotto e gli scandali bancari della sua corrente). Quale pensi debba essere il ruolo del cinema rispetto a questioni tanto tragiche e complesse in cui i confini tra arte, storia e politica sono così labili? Colpisce inoltre l’inedita attenzione per l’aspetto umano e personale dei vari brigatisti, e il contrasto tra la loro mortifera rigidità ideologica e certi sprazzi vitalistici che a tratti emergono anche durante i 54 giorni (mi riferisco in particolare alla intensa scena di amore tra due sequestratori, ma anche al ridimensionamento del topoi dell’appartamento). In che maniera hai ricostruito l’ambiente e la realtà brigatista? E come hai lavorato sui dialoghi e la caratterizzazione dei personaggi?

Per quanto riguarda il ruolo del cinema, posso dirti che ammiro moltissimo Francesco Rosi, e non per niente i miei tre suoi film prediletti sonoSalvatore Giuliano, Le mani sulla città, Il caso Mattei. Si tratta di un cinema che entra in personaggi e situazioni storiche mischiando ricostruzione documentata con interpretazione umana dei protagonisti. Nel mio film Nerolio ho affrontato Pasolini, e la sua morte, al di fuori di altre sistematiche e risibili santificazioni. Ho cercato per anni di realizzare il mio film L’onorevole Di Salvo, che dopo tante battaglie era riuscito ad ottenere un piccolo finanziamento governativo, ma che fu giudiziariamente bloccato dall’allora imputato Calogero Mannino: era un film che raccontava la DC siciliana di Lima, Ciancimino, e appunto di Mannino. Ora sto lavorando alla sceneggiatura di un film su Mauro Rostagno dove il nome di Bettino Craxi, altro personaggio chiave della nostra storia, ricorre spessissimo; e dove torna la questione del morire per delle idee. Ma per me è sempre più difficile realizzare i miei progetti: sono finito da anni in un limbo dal quale è davvero difficile trovare spazi; peggio per me. Ma io ci proverò sempre. Ho ricostruito l’ambiente e la realtà brigatista con i pochi mezzi di cui disponevo, e sentendomi libero di operare una ricostruzione fisica che fosse funzionale alla mia storia, considerando francamente inutile cercare la filologia dell’appartamento e della mobilia del “vero” covo. Rispetto ai personaggi, mi sono totalmente liberato della realtà storica esteriore. I “miei” brigatisti sono concretamente diversi, per ruolo e organizzazione, di quelli “veri” del caso Moro. Se ho ottenuto il mio ambizioso (o velleitario?) obiettivo, pur dichiaratamente “diversi” dai veri, spero che i “miei” brigatisti rappresentino invece i veri, più di chi li ha descritti cercando di “copiare” la concretezza storica della loro fisicità esterna. Io, ovviamente, andavo alla ricerca delle loro ideologia e umanità interiori. 

5 IL CAST 
A cosa si deve la scelta di attori stranieri per i ruoli di Aldo Moro e dei brigatisti? Attraverso quali criteri è avvenuta la selezione degli interpreti? 

Abbiamo girato a Londra perché il produttore Leonardo Giuliano aveva firmato un contratto con una società britannica con la convinzione che avremmo potuto usufruire di un finanziamento governativo sulle co-produzioni europee essenziale per la conclusione del progetto. Ma il crollo finanziario di Leonardo ha reso inutile questo disegno. A me è rimasta la fortuna di aver potuto lavorare con degli attori straordinari per impegno e professionalità. Roshan Seth è stato, dal mio punto di vista, un Aldo Moro sincero e sentito, ed è stato magnifico lavorare con lui. Mi dispiace ammetterlo, ma l’esperienza dei provini e delle riprese in terra inglese ha confermato l’antica diceria sull’abisso professionale che divide attori inglesi con quelli italiani. Io ho lavorato sempre bene con la quasi totalità dei miei attori italiani ma è buffo dover ammettere che, nella mia esperienza, i più “perfetti” dal punto di vista professionale sono stati questi inglesi, e una spagnola diciottenne che si chiamava Penelope Cruz (La ribelle, 1993). 

6 LA PROFESSORESSA STORAGLIA 
Uno degli episodi più sconcertanti del tuo film è senza dubbio quello della professoressa Storaglia (intensamente interpretata da Lalla Esposito), arrestata, messa in isolamento in carcere duro, umiliata e vessata dalla polizia e in fine sospesa dall’insegnamento semplicemente per aver espresso un duro giudizio politico attorno alla DC, durante una libera assemblea di studentesse e studenti, nel marzo 1978. La vicenda, oltre a testimoniare ancora una volta la drammaticità della repressione e lo stato d’emergenza di quegli anni, è la spia di una profonda crisi politica e culturale, figlia del ’77, che attraversa l’intera sinistra e oppone con violenza il vecchio partito comunista ai nuovi gruppi libertari post-comunisti, confondendo le certezze (i vecchi militanti del partito più progressisti delle nuove leve berlingueriane o la CGIL che difende Nixon per attaccare le BR), spingendosi fino a generare odio di classe (lo scontro tra la professoressa Storaglia e l’ispettore “togliattiano” Achille Crollo, carnefice spietato e rancoroso) . 

Qui torna il mio spirito di cittadino che pretende che lo Stato di Diritto funzioni e rispetti le proprie leggi. Quando lessi di questo autentico caso mi vennero i brividi, e la mia ribellione interiore fu assoluta. La storia era accaduta veramente. La professoressa fu infine reintegrata nell’insegnamento, ma dopo una via crucis terrificante, che testimonia - come nel caso del giovane estremista ritenuto a lungo un membro del commando di via Fani e che ho raccontato - come la risposta dello Stato fu genericamente confusa, goffa, velleitaria, ma tragicamente violenta e illegale: al limite delle dittature sudamericane. Nel 1978 ero troppo giovane e inconsapevole per “sentire” anche questo aspetto. Ricordo solo, ripeto, il fastidio profondo che provavo ad ogni telegiornale: con le facce recitatamente afflitte dei conduttori, i bollettini patetici del quotidiano fallimento dello Stato spacciato per attivismo, la censura delle lettere di Moro contro i suoi compari di partito, e il ripetere ossessivamente che erano lettere estorte con la violenza. 

7 IL FINALE: NESSUNA RETORICA 
L’epilogo del film tocca un’altra delle questioni essenziali degli anni di piombo italiani, il dramma dei parenti delle vittime, che purtroppo in Italia si è spesso intrecciato alla ricostruzione storiografica di quella stagione, impedendo talvolta una riflessione serena e approfondita (quella che Giovanni de Luna nel suo ultimo lavoro chiama “deriva vittimaria” della memoria storica). Con l’inserimento nel finale di alcune testimonianze di famigliari delle vittime (tra cui Luca Moro, interpretato da un attore) e con la precedente evocazione di Fausto Tinelli e Iaio Iannucci, è corretto parlare di una accentuazione dello spirito testimoniale del film, in bilico tra finzione e cronaca? In questo senso, è interessante il ruolo ricoperto dalla radio, l’unico mezzo di comunicazione solitamente escluso dagli altri film: a cosa si deve la scelta di non utilizzare materiali video d’archivio e di non rigirare, come hanno fatto ad esempio Ferrara e Martinelli, le scene cruciali del caso? 

Ammetto che nel film ho cercato di mettere “tutto”, forse “troppo”: da qui il “bisogno”, un po’ puerile, di una trilogia. Se avessi potuto, avrei voluto mettere ancora più numerose testimonianze di oscuri cittadini travolti dalla storia di quei terribili giorni. È terribile che lo spazio dato, anche alla memoria pubblica, a Moro è 1000 a 1 rispetto ai poveri membri della sua scorta, loro sì, in qualche modo, martiri dello Stato. So bene che la Storia è terribilmente “meritocratica”, e non può indulgere a sentimenti populistici né etici. Ma tenendo conto, come ho detto prima, che Storici e Registi fanno lavori completamente diversi, nel mio film ho cercato di riequilibrare un pochino questo rapporto: un pochino pochino; meglio che niente. I video d’archivio costavano troppo, ma francamente non ne sentivo il bisogno: sono materiali in qualche modo “consumati” dalla Tv e dalla Storia, e quindi poco, cinematograficamente, espressivi. Come l’indimenticabile Rosaria Schifani, giovane moglie di Vito uomo della scorta di Falcone: persino l’ottimo Paolo Sorrentino l’ha inserita ne Il divo, a mio avviso sbagliando, perché è un dato storico ormai cinematograficamente “consumato”: non può aggiungere espressivamente nulla ad una ricostruzione “cinematografica” di quegli anni. Le ricostruzioni di Beppe Ferrara le trovo oneste ma esteticamente incompiute. Martinelli mi pare totalmente disinteressato sia all’etica che all’estetica. Lo dico senza alcuno spirito polemico. Nel suo film, il vero Moro non esiste. È solo lo spunto per un fantasioso thriller in spirito spettacolar-hollywoodiano. Almeno questa è la mia discutibile convinzione.  

8 TRE, UNO, O FORSE DUE 
Recensendo il film nel 2008, «Close-up» ha riferito della tua intenzione di ridurre la trilogia a un dittico, di cui Se sarà luce dovrebbe essere il primo episodio. Attualmente pensi che ci siano le condizioni per distribuire (in sala o in dvd) il prossimo eventuale lavoro o addirittura entrambe le opere? La trilogia (per come l’avevi pensata fino al 2004) è un progetto ormai irrecuperabile e/o sorpassato? 

Per finire il secondo film occorrono forse 30.000€. Prima o poi credo e spero di trovarli. Per fare questo dovrei uscire dal cono d’ombra in cui sono finito da diversi anni: enormi difficoltà a fare i miei film, e quello che faticosissimamente riesco a concludere, che si perde nella non-distribuzione. Amando i numeri, mi dico: al 30% riuscirò a finire il mio secondo film entro dieci anni (sic!). Una volta finito, il massimo che si può immaginare è una distribuzione in dvd. La Trilogia originaria vorrei che rimanesse un dittico: con Se sarà luce integrato da qualcosina che manca (dolente quotidianità dei familiari di Moro), e che vorrei inserire; e soprattutto missato e ben stampato nella sua fotografia originale. E il secondo film, che corrisponderebbe perfettamente al “vecchio” secondo tomo: compiutamente (dovrei girare solo scene in un vero carcere: per ora abbiamo solo le scene in cella, in sala interrogatori, in processi, che costituiscono il 90% del film). Vorrei solo dire che pur piagnonamente convinto che questo mio progetto meritava maggiore attenzione, mi prendo anche le mie responsabilità: esagerando nel “politicamente non-corretto”, e alzando esageratamente l’asticella con addirittura una trilogia, si pagano meritati prezzi. Ma, come ripeto da sempre, nessun medico ha prescritto che bisogna fare dei film. Io ci provo, ci proverò sempre, ma sentendolo, innanzitutto, come un privilegio: anche quando gli ostacoli risultano insuperabili.

(Pierluca D'Antuono, 30 dicembre 2011)